(Avv. Bruno Santamaria & Dott. Marco Vitale)
La Legge Regionale 30 dicembre 2009, n. 33, della Regione Lombardia (c.d. Testo Unico delle leggi regionali in materia di sanità, di seguito, breviter, “T.U. sanità” o L.R. 33/2009) è stata di recente modificata ad opera della Legge Regionale 3 marzo 2017, n. 6, della Regione Lombardia. Di particolare interesse è l’introduzione del novello articolo 60-bis, a mente del quale «la Giunta regionale emana direttive in ordine ad aspetti disciplinati dai regolamenti comunali di igiene» (co. 1) e «non trovano applicazione le disposizioni del regolamento locale di igiene tipo» (co. 2).
Tale modificazione legislativa ha, però, fatto sorgere alcuni dubbi circa la sorte delle norme igienico-sanitarie vigenti.
In proposito, stante l’assenza pressoché totale di giurisprudenza sul punto, è necessario ricorrere, foss’anche in via analogica, ai criteri di ermeneutica generale nonché ai principi che governano la successione di leggi nel tempo. Segnatamente, occorre rammentare, da un lato, che «la legge non dispone che per l’avvenire» e «non ha effetto retroattivo» (art. 11, co. 1, prel. c.c.), dall’altro lato, che «le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perchè la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore» (art. 15 prel. c.c.).
Dal combinato disposto delle predette disposizioni, riguardanti la «legge in generale» (e, perciò, tutte le norme positive, a qualunque rango appartengano), è, dunque, logico inferire che l’eventuale effetto abrogante delle direttive regionali ex art. 60-bis, co. 1, L.R. 33/2009 cit. dipende, anzitutto, dagli specifici «aspetti disciplinati dai regolamenti comunali» cui si rivolgono.
A tal proposito, giova, peraltro, tenere a mente che, ad oggi, la Regione Lombardia non ha adottato alcuna direttiva regionale in subiecta materia.
Devesi, nondimeno, dare conto di una recente iniziativa della Direzione Generale Welfare che, di concerto con la Direzione Generale Territorio, ha portato all’approvazione della Giunta regionale la D.G.R. 24 ottobre 2018, n. 695 («Recepimento dell’intesa tra il governo, le regioni e le autonomie locali, concernente l’adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all’articolo 4, comma 1 sexies, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380»), B.U.R.L SO 44 31/10/2018, per la definizione puntuale degli allegati che comprendono –tra l’altro– «Indicazioni ai Comuni per l’adozione dello schema di Regolamento edilizio tipo regionale (Allegato D)» (pt. 2, n. 4).
In particolare, nel suddetto Allegato D, è stato previsto l’obbligo per i Comuni di conformare i rispettivi regolamenti edilizi al regolamento edilizio tipo (di cui all’Allegato A) entro 180 giorni a far data dalla pubblicazione della deliberazione (quindi, al più, tardi il 29 aprile 2019), all’uopo stabilendo l’acquisizione di un previo parere dell’Azienda Territoriale Sanitaria (A.T.S.).
Si precisa, peraltro, che il regolamento tipo di cui all’Allegato A) costituisce un mero archetipo normativo (una sorta di “indice”) e non contiene disposizioni puntuali in materia igienico-sanitaria, la cui definizione è rimessa agli enti locali comunali; il successivo Allegato C ha, invece, effettuato la ricognizione delle disposizioni incidenti in materia, direttamente applicabili dai Comuni, i quali non possono derogarvi.
In attesa di eventuali sviluppi normativi, giova effettuare alcune considerazioni.
In generale, se la direttiva non disciplina una certa fattispecie, è logico ritenere che questa continui ad essere regolata dalle norme igienico-sanitarie (ovverosia dal regolamento comunale o dal regolamento tipo), non potendosi predicare alcun effetto abrogante. Diversamente, si produrrebbero inaccettabili lacune di disciplina, peraltro in un settore sensibile (com’è quello delle norme d’igiene); a conforto di tale esegesi, si anticipa fin d’ora che il citato comma 2° del predetto articolo 60-bis, nell’affermare l’inapplicabilità (e non già l’abrogazione) del regolamento d’igiene tipo in parte qua, sembra escludere qualsiasi forma di successione di leggi (lato sensu intese).
Diversamente, laddove vi sia un concorso di norme, è scorretto affermare che l’eventuale norma igienico-sanitaria difforme sia automaticamente abrogata dalla direttiva; ciò per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, non necessariamente la Regione, nell’emanare tali atti normativi, persegue la finalità di modificare l’assetto delle regole igienico-sanitarie dei singoli Comuni; secondariamente, è ragionevole dubitare della vis abrogans di uno strumento che, in quanto «direttiva», sembra teso ad orientare la potestà regolamentare del comune in materia piuttosto che volto ad incidervi direttamente (specie se si considera quanto stabilito dal citato comma 2, a mente del quale «non trovano applicazione [e non già sono abrogate, n.d.r.] le disposizioni del regolamento locale di igiene tipo»).
Inoltre, affinchè possa determinarsi un effetto abrogante vero e proprio è necessaria una pluralità di fonti del diritto equiordinate; a tal proposito, se pure sembra che le direttive regionali abbiano natura normativa, appare difficile predicarne l’effetto abrogante rispetto a regolamenti di competenza di un altro ente locale (in ossequio al principio di competenza).
Non può, però, predicarsi in senso assoluto l’efficacia meramente programmatica delle direttive regionali, trattandosi di strumenti che –al pari dei piani regolatori– hanno natura proteiforme ed eterogenea, ben potendo contenere anche disposizioni immediatamente vincolanti (così T.A.R. Torino (Piemonte), Sez. I, sent. 16.3.2017, n. 382, e T.A.R. Genova (Liguria), sent. 8.7.2009, n. 1693, entrambe nel senso della vincolatività delle direttive regionali, pur illegittime, che impongano forti limitazioni al rimborso di farmaci di fascia A) [1].
Quanto alla previsione contenuta nel comma 2° del predetto articolo 60-bis -la quale va necessariamente coordinata con il precedente 1° comma- deve rammentarsi che il regolamento locale d’igiene tipo, previsto dall’art. 53 L.R. 64/1981 della Regione Lombardia (abrogato a far tempo dell’entrata in vigore dell’art. 133 L.R. 33/2009 in commento) costituisce il modello astratto di uno strumento (id est il regolamento d’igiene comunale) contenente norme integrative e complementari alla legislazione nazionale e regionale in materia di sanità e igiene, adeguando le disposizioni generali alle particolari condizioni locali; trattasi, peraltro, di una fonte che i regolamenti comunali d’igiene spesso richiamano, quale fonte applicabile salvo diversamente disposto in sede locale.
Ragionando da quest’angolo prospettico, ben può darsi che –nonostante l’abrogazione della L.R. 64/1981– i singoli Comuni siano, nondimeno, dotati di regolamenti locali d’igiene approvati sulla falsariga e nel rispetto dell’archetipo regionale, le cui previsioni potrebbero però contrastare con gli obiettivi previsti dalle nuove direttive della Regione; di conseguenza, l’affermazione per cui «non trovano applicazione le disposizioni del regolamento locale di igiene tipo» sembra riferirsi proprio alle ipotesi di antinomia, escludendo la vis abrogans delle direttive regionali[2].
Possono, dunque, trarsi alcune implicazioni teorico-pratiche.
In primo luogo, se la medesima materia, già disciplinata da un regolamento d’igiene locale, costituisce oggetto di una direttiva regionale specifica (riferita, cioè, al singolo Comune), le disposizioni ivi contenute, laddove immediatamente vincolanti e precettive, devono prevalere su quelle del regolamento comunale (pur senza abrogarlo). Diversamente, nel caso (ad opinione di chi scrive più frequente) in cui la direttiva regionale innovi o modifichi la disciplina di un ambito già “toccato” dal regolamento d’igiene tipo, quest’ultimo dovrà ritenersi inoperante, al pari del regolamento comunale che ad esso si richiami.
In quest’ottica, può discutersi della sorte dell’eventuale atto individuale presupponente, che accordi o neghi al privato un bene della vita cui aspira, richiamandosi ed applicando:
Nel primo caso, può ipotizzarsi l’illegittimità dell’atto presupponente per aver falsamente applicato il regolamento presupposto, ex lege inoperante in presenza di una direttiva regionale che regoli la materia in modo diverso; detto altrimenti, il contenuto del provvedimento avrebbe dovuto essere conforme a quanto stabilito dalla direttiva medesima[3].
Nell’ipotesi sub ii), a fortiori dovrà concludersi per l’illegittimità dell’atto individuale, per le medesime ragioni logico-giuridiche testè richiamate.
In generale, tuttavia, sembra doversi concludere che le direttive regionali non producano ex se un effetto abrogante su tutte le norme igienico-sanitarie vigenti, piuttosto paralizzando l’efficacia di alcune di esse, ovverosia quelle contenute nel regolamento tipo (ovvero nei regolamenti comunali locali che di questo facciano applicazione), contrastanti con le previsioni di nuova introduzione ai sensi dell’art. 60-bis, co. 1, L.R. 33/2009 cit. e –per derivazione– comportando l’illegittimità degli atti individuali che presuppongano i predetti regolamenti.
Alla luce delle superiori considerazioni valga la seguente tabella riassuntiva.
Caso | Soluzione |
La Regione emana una direttiva che incide su un aspetto non regolato dal regolamento locale d’igiene né dal regolamento tipo (richiamato espressamente dalla normativa tecnica comunale). | Continuano ad applicarsi sia il regolamento locale d’igiene sia il regolamento tipo, in quanto richiamato. |
La Regione emana una direttiva che incide su un aspetto non regolato dal regolamento locale d’igiene, ma disciplinato dal regolamento tipo (richiamato espressamente dalla normativa tecnica comunale). | Non trova applicazione la sola norma del regolamento locale d’igiene che richiama il regolamento tipo, limitatamente all’aspetto in esso regolato che contrasti con la direttiva. |
La Regione emana una direttiva che incide su un aspetto espressamente disciplinato dal regolamento locale d’igiene; il provvedimento normativo regionale è precettivo e vincolante. | Non trova applicazione la norma del regolamento locale d’igiene (vuoi perché inefficace, vuoi perché abrogata); resta salvo il potere-dovere del Comune di modificare le NTA in modo conforme alla direttiva (di solito v’è un termine) |
La Regione emana una direttiva che incide su un aspetto espressamente disciplinato dal regolamento locale d’igiene; il provvedimento normativo regionale ha natura programmatica. | La norma del regolamento locale d’igiene trova applicazione, ma l’Amministrazione deve tentare un’esegesi conforme agli obiettivi della direttiva; si consideri, poi, che, per definizione, gli atti normativi tipo direttiva impongono un termine entro il quale l’ente locale deve conformare le proprie NTA a quanto prescritto.
|
La Regione emana una direttiva che incide su un aspetto espressamente disciplinato dal regolamento tipo, richiamato dal regolamento locale d’igiene; il provvedimento normativo regionale ha natura vincolante. | Non trova applicazione la disciplina del regolamento locale tipo contrastante con la direttiva. Quid iuris?
i. si applica la direttiva, in quanto immediatamente precettiva; ii. il regolamento locale d’igiene può/deve essere modificato nel termine eventualmente assegnato dalla direttiva. |
La Regione emana una direttiva che incide su un aspetto espressamente disciplinato dal regolamento tipo, richiamato dal regolamento locale d’igiene; il provvedimento normativo regionale ha natura programmatica. | La disciplina del regolamento locale tipo non si applica nella parte in cui contrasta con la direttiva. Quid iuris? Il regolamento locale d’igiene può/deve essere modificato nel termine eventualmente assegnato dalla direttiva. |
Un cenno meritano, da ultimo, due questioni contermini a quella oggetto della presente trattazione, ovverosia l’eventuale abrogazione della direttiva regionale e l’impugnativa del regolamento d’igiene comunale.
Quanto al primo aspetto, è agevole inferire che, venendo meno la direttiva regionale, l’efficacia del regolamento d’igiene tipo (e, dunque, dei singoli regolamenti comunali che ad esso si richiamino) si riespande; pertanto, non può predicarsi l’illegittimità dell’atto individuale che ne abbia fatto applicazione, in forza del principio generale per cui, ad esclusione di quanto avviene in materia penale, il ius superveniens non tocca e gli atti adottati (tempus regit actum) e i rapporti giuridici esauriti.
Per quanto concerne, invece, l’impugnazione dei regolamenti comunali d’igiene, si richiamano le regole processuali che presidiano il ricorso avverso gli atti normativi.
Segnatamente, trattandosi di regolamenti in senso stretto (volizioni preliminari), il cittadino è privo di legitimatio ad causam, non vantando una posizione personale e differenziata da quella degli altri consociati cui il precetto asseritamente illegittimo si rivolge; al contrario, il successivo provvedimento applicativo ben può essere impugnato in via autonoma ovvero congiuntamente al regolamento presupposto ma, anche tal caso, il Giudice amministrativo non potrà verosimilmente annullare tale atto normativo, proprio perché lo stesso, in quanto inefficace, è insuscettibile di assumere giuridica rilevanza nel rapporto autoritativo.
Detto altrimenti, ciò che il privato lamenta è l’illegittimità non del regolamento d’igiene tipo ovvero del regolamento comunale ma, piuttosto, del provvedimento, che –invece di fare applicazione della direttiva regionale– attua il regolamento medesimo, in violazione dell’art. 60-bis L.R. 33/2009 cit.
[1] Sul punto, con specifico riferimento alla materia urbanistica ed edilizia, cfr. T.A.R. Brescia (Lombardia), Sez. I, sent. 17.5.2018, n. 487, nella parte in cui si riferisce all’«adeguamento [dei P.G.T. comunali, n.d.r.] alle direttive regionali», nonché T.A.R. Cagliari (Sardegna), Sez. II, sent. 3.2.2016, n. 98, laddove include le direttive in commento tra gli «atti di programmazione» sovraordinati).
[2] Ciò non esclude, naturalmente, la potestà della Regione di modificare il regolamento d’igiene tipo, abrogandone espressamente una o più disposizioni specifiche.
[3] Tale conclusione, da ritenersi pacifica in presenza di direttive vincolanti, si espone, però, ad alcune critiche se la disposizione interessata ha natura programmatica ovvero se si accede alla teoria per cui tutte le direttive regionali svolgerebbero una mera funzione di indirizzo.
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