L’argomento in questione riveste particolarmente importanza in quanto si è consolidata nel tempo, soprattutto negli ultimi 10 anni, l’esigenza che, al di là della potestà pianificatoria della Amministrazione comunale, vengano garantiti al soggetto attuatore maggiori diritti e possibilità di dare esecuzione ad una previsione urbanistica attuativa, ancorché della stessa sia stato stabilito un termine preciso in sede di stipulazione della convenzione urbanistica.
Questa esigenza è maturata soprattutto all’indomani della cruenta crisi economica che ha creato una battuta di arresto soprattutto nel settore dell’edilizia e proprio in quell’occasione lo stesso legislatore, sia a livello nazione che a livello locale hanno sentito la necessità di creare un argine alle conseguenze della mancata attuazione nei termini delle previsioni del Piano Attuativo.
Prima però di entrare nei dettagli di questa più recente legislazione e anche degli aggiornamenti giurisprudenziali che, di conseguenza, ci sono stati, giova ricordare la disposizione normativa fondamentale che regola questa materia.
Mi riferisco all’art. 28 della Legge urbanistica fondamentale cioè la n.1150 del 1942. Come vedete sono ancora norme molto datate che però regolano questa materia, anche se poi hanno subito queste norme delle specifiche modifiche più recenti. Mi riferisco in modo particolare al fatto che oggi, come sapete, non c’è bisogno dell’autorizzazione preventiva da parte della Regione per poter procedere ad un Piano di lottizzazione mentre gli aspetti relativi alla cessione delle urbanizzazioni è stata appunto precisata nel 1964. Nel 2013 e anche dopo abbiamo avuto delle proroghe specifiche di cui poi vedremo successivamente. L’altro aspetto è che nel 2014 è stata introdotta una norma, proprio per mitigare le conseguenze del mancato completamento delle previsioni di lottizzazione dovute alla intervenuta crisi del settore dell’edilizia, che dispone, come indicato nel comma 6 bis dell’art. 28 qui richiamato, la possibilità di intervenire per stralci funzionali e fasi e tempi distinti, proprio perché in molte lottizzazioni bisognava intervenire immediatamente su tutto e questo rappresentava uno sforzo economico che non sempre l’Attuatore era in grado di sostenere. A questi stralci funzionali poi si è aggiunta anche la possibilità di ottenere le agibilità parziali per ogni specifico intervento, prima cioè di completare il tutto.
L’intervento attuativo può essere però realizzato anche attraverso il permesso di costruire convenzionato. Questa è una norma introdotta nel 2014 al Testo Unico dell’Edilizia per cui l’art. 28 bis del DPR 380/2001 recita appunto che se gli interventi di urbanizzazione possono essere attuati con una modalità semplificata, allora è possibile rilasciare un permesso di costruire convenzionato. Si tratta sempre appunto di una convenzione che deve disciplinare tutti quegli aspetti necessari per la urbanizzazione e realizzazione di opere pubbliche in un’area da edificare.
Il permesso di costruire convenzionato è stato altresì notevolmente specificato dalla L.R. n. 12/2005 che all’art. 33 alla lett. f) riporta espressamente che il permesso di costruire convenzionato di cui all’art. 28 bis del DPR 380/2001 può essere utilizzato nei casi in cui l’intervento debba avvenire all’interno del tessuto urbano consolidato come previsto da comma 1 bis dell’art. 14 sempre della L.R. 12/2005. Anche l’art. 73 bis della medesima L.R. 12/2005 al comma 2 prevede espressamente che nel caso di una conversione di copertura in cemento armato quando il sopralzo dia luogo a un piano sottotetto o a vani con caratteristiche di abitabilità, anche nel caso di intervento in deroga per il recupero del sottotetto, l’intervento è assoggettato a permesso di costruire convenzionato ove sia stabilito che la superficie non è utilizzabile ai fini abitabili, salvo che l’avente titolo inoltri una separata e contestuale istanza di atto abilitativo per la trasformazione della superficie del volume a fini residenziali.
Va ricordato anche il comma 2 dell’art. 10 della L.R. n. 12/2005 che appunto prevede che nel Piano delle Regole per gli ambiti del tessuto urbano consolidato vengono individuate le modalità di intervento dove può essere prevista sia la pianificazione attuativa ordinaria che quella semplificata attraverso il permesso di costruire convenzionato.
Questi aspetti di semplificazione però non escludono ovviamente che la disciplina del permesso di costruire convenzionato non segua le regole del Piano Attuativo ordinario, almeno per quanto riguarda le conseguenze di un’eventuale scadenza. Vi è da aggiungere che, solitamente, il permesso di costruire convenzionato ha una durata abbastanza relativa e cioè è quella in pratica del permesso, anche se a volte la convenzione può prevedere la tempistica più lunga per la realizzazione di eventuali opere pubbliche, soprattutto per PdCC più complessi. Il permesso di costruire convenzionato, tuttavia, difficilmente si pone il problema del destino dei volumi previsti dalla convenzione poichè il più delle volte si tratta di un permesso che viene richiesto necessariamente per l’intero intervento mentre la convenzione è solo finalizzata alla disciplina delle esigenze urbanizzative e quindi delle eventuali opere pubbliche necessarie. Per cui diciamo che il permesso di costruire convenzionato difficilmente può dare adito ad una problematica di scadenza. Se viene a scadere il permesso di costruire perché non si fa l’intervento, allora può darsi che ci si debba porre il problema di che fine fa la convenzione e quindi i relativi diritti edificatori e la relativa disciplina. Anche in questo caso, come vedremo, dovremo sicuramente fare riferimento alla peculiarità del permesso di costruire e quindi anche delle obbligazioni convenzionali che lo assistono.
E veniamo ora alla patologia della convenzione quando essa viene a scadenza. Come abbiamo detto l’art. 28 della Legge Urbanistica 1150 del ’42 in realtà non ha parlato di scadenza del Piano di Lottizzazione e quindi secondo una interpretazione sistematica ormai consolidata anche da giurisprudenza unanime sul punto, la scadenza e la validità del Piano di Lottizzazione la individuiamo nell’art. 17 della Legge Urbanistica n. 1150 del ’42. Per cui la tempistica dell’intervento di lottizzazione è equiparata a quella dei Piani Particolareggiati, vale a dire la durata massima è di 10 anni. Sulla durata del Piano di Lottizzazione o Piano Attuativo è bene specificare da subito che, quando si definisce la delibera di approvazione del Piano, solitamente si indica un tempo tecnico entro cui deve essere sottoscritta la convenzione ma il più delle volte si stabilisce che i 10 anni di validità della convenzione e quindi del Piano Attuativo decorrono dalla delibera di approvazione del Piano Attuativo stesso. Questo è il primo grave errore che non bisogna commettere poiché, siccome c’è un tempo tecnico per sottoscrivere la convenzione, è opportuno che si indichi espressamente, anche nell’atto deliberativo di approvazione del Piano Attuativo, che i 10 anni devono decorrere dalla sottoscrizione in forma di atto pubblico della relativa convenzione. Questo è necessario perché solo con la sottoscrizione della convenzione nascono i diritti e gli obblighi a carico del soggetto Attuatore, per cui è corretto che da quella data devono decorrere i termini di validità della convenzione. Un inciso è che dobbiamo tenere presente che il termine di 10 anni è il termine massimo per cui se non viene indicato nessun termine si intende comunque quello dei 10 anni ma in molti casi le parti possono indicare anche un termine inferiore nella convenzione. Come si può vedere, l’art. 17 definisce che, se nel termine di validità non è stata data applicazione di tutte le previsioni del Piano Attuativo, questo diventa inefficacie nella parte in cui non abbia avuto attuazione, però rimangono fermi a tempo indeterminato gli obblighi da osservare nella costruzione di nuovi edifici o nella modifica di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal Piano stesso (ovviamente non parliamo solo del Piano Particolareggiato ma anche del Piano di Lottizzazione). Quindi qui vi è una affermazione abbastanza precisa che ci permette di comprendere che cosa effettivamente accade.
Ma andiamo per ordine.
La prima conseguenza che deriva in molti casi quando scade la convenzione è quella di comprendere che cosa accade degli oneri già pagati e delle cessioni per connessi a opere non fatte. Qui chiaramente stiamo parlando del caso di una lottizzazione che non è stata completamente attuata. In questi casi ci sono una serie di problematiche che emergono. Invero una delle più recenti sentenze del TAR della Lombardia, la n. 1985 Sez. II del 9 settembre 2022, ha stabilito espressamente che, in realtà, non sussiste un obbligo da parte dell’Amministrazione di restituire gli oneri perché non si tratta di un pagamento di oneri in cambio di un permesso di costruire come avviene in un caso appunto di mera richiesta di permesso di costruire, ma si tratta di un pagamento di oneri dovuti a seguito di una convenzione e la convenzione rappresenta un atto obbligatorio, quindi un contratto. In pratica, per l’interesse che l’operazione contrattuale di una convenzione è diretta a soddisfare va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio (cioè la convenzione) in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato ma anche quelli della Pubblica Amministrazione.
Che cosa vuol dire questo? Che la contribuzione e cioè gli oneri concessori nel caso di una convenzione non sono direttamente collegati allo ius aedificandi, purché il pagamento degli oneri non sia stato disposto esclusivamente come obbligo previsto dalla legge bensì, come normalmente accade, come accordo tra il Comune e il soggetto Attuatore. Questo evidenzia aspetti non da poco perché molto spesso si è ritenuto di applicare il principio per cui non ho costruito e quindi per quale motivo devo pagare gli oneri? Quindi mi vanno restituiti.
In realtà troviamo una mitigazione a questo aspetto proprio nella stessa giurisprudenza amministrativa e mi riferisco ad esempio alla sentenza del Consiglio di Stato sez. IV 15 febbraio 2019 n. 1069 la quale evidenzia che nella convenzione urbanistica gli obblighi assunti non vanno riguardati isolatamente ma vanno rapportati alla complessiva remunerabilità dell’operazione che costituisce reale parametro per valutare l’equilibrio del sinallagma contrattuale e quindi la sostanziale liceità degli impegni assunti. Una sentenza del TAR Lombardia in modo più specifico (mi riferisco alla sentenza n. 346 del 2017 della Sez. II del TAR di Milano) richiama il fatto che in una convenzione vi è una libera negoziazione, per cui si incontrano le due volontà delle parti contraenti e per cui gli impegni che vengono assunti in questa sede vanno valutati con riferimento alla necessità di salvaguardare questo equilibrio dei rapporti contrattuali anche in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede. Questo è molto importante poiché ci dice sostanzialmente che se applichiamo i canoni interpretativi del codice civile al rapporto obbligatorio che genera la convenzione, non possiamo ritenere che uno dei due soggetti ottenga dei benefici a danno dell’altro ma è evidente che l’altro, intanto si è vincolato a fornire una serie di benefici, in quanto aveva l’interesse a poter realizzare una certa opera. La mancata realizzazione di quell’opera andrebbe a squilibrare gli interessi tra le parti e quindi genererebbe una mancanza di equilibrio contrattuale che, a quel punto, comporterebbe tutta una serie di conseguenze, ivi compresa quella di ridurre il carico di oneri e di opere se non è più possibile poter realizzare tutte le opere private.
Giova qui precisare che, qualora le obbligazioni verso l’Amministrazione dovessero nascere non da una convenzione ma da un mero atto unilaterale l’obbligo che è pur sempre una condizione di efficacia di un intervento edilizio, in questo caso questa funzione che è riservata alla convenzione, non si può estendere all’atto unilaterale d’obbligo proprio perché in quest’ultimo atto manca il peculiare contenuto eterogeneo della convenzione urbanistica. Come detto, la convenzione urbanistica prevede delle opere normalmente a scomputo, le reciproche obbligazioni, la disciplina quindi di quell’area con la quantificazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria per cui fanno ricondurre la convenzione ad un contratto di scambio e ne fanno assumere un carattere negoziale, carattere che non può avere un atto unilaterale. Quindi nel caso dell’atto unilaterale d’obbligo l’eventuale mancata realizzazione dell’opera comporta la necessità di restituzione degli oneri, a prescindere dal motivo per cui l’opera non è stata realizzata.
Veniamo ora alla seconda conseguenza e cioè la verifica degli obblighi convenzionali, in modo particolare la realizzazione delle opere pubbliche.
Come abbiamo visto, l’art. 17 della L. 1150/42 stabilisce che quando il piano particolareggiato – e in questo caso il piano attuativo – diventa inefficace, per la parte in cui esso non ha avuto attuazione si può di fatto ugualmente intervenire rispettando gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabilite dal piano stesso. In sostanza secondo quanto è stato anche sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa e cito in particolare il Consiglio di Stato sez. IV sentenza n. 6915 del 10 novembre 2020 e anche la sentenza della sez. II del Consiglio di Stato n. 7256 del 20 novembre 2020, la scadenza del termine decennale di efficacia del piano si applica solo alle disposizioni del contenuto espropriativo, nel senso che non possono più essere fatte espropriazioni (che sono normalmente previste nel piano particolareggiato); ma questo non accade invece per le prescrizioni urbanistiche di piano “che rimangono pienamente operative e vincolanti sino all’approvazione di un nuovo piano attuativo”. Continua il Consiglio di Stato nella richiamata sentenza che “ne consegue che allo scadere del termine decennale d’efficacia del piano di lottizzazione, le prescrizioni di carattere conformativo sono ultrattive rispetto alla scadenza di tale termine e rimangono in vigore fino all’approvazione della nuova strumentazione urbanistica”. Quest’orientamento è stato ribadito da altre numerose sentenze per cui il Consiglio di Stato ha ribadito e chiarito che “alla scadenza del termine dell’efficacia sopravvivono le destinazioni di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga l’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura” (sentenza Consiglio di Stato sez. IV n. 3002 del 18 maggio 2018).
Ovviamente, l’obbligazione relativa alle opere pubbliche permane, anche perché solitamente, per la realizzazione delle opere pubbliche i Comuni, in sede di sottoscrizione della convenzione, hanno l’obbligo di farsi rilasciare una formale fidejussione in modo che se il privato non dovesse realizzare le opere pubbliche, vi è tenuta l’Amministrazione pubblica.
In sostanza, essendoci un rapporto contrattuale, se il privato non ha realizzato le opere pubbliche, l’Amministrazione ha il dovere di chiederne comunque la realizzazione, a prescindere dalla scadenza del piano e della realizzazione delle opere private e questo proprio perché vi è un obbligo contrattuale garantito anche da fidejussione. Nel caso in cui il privato, ove non vi fosse la fidejussione, rifiutasse di realizzare le opere pubbliche, quell’inadempimento autorizzerebbe la pubblica Amministrazione a impedirgli di poter continuare la realizzazione degli ulteriori lotti liberi e potrebbe non concordare le agibilità per le opere già realizzate.
Ma, come ben sappiamo, difficilmente la convenzione non è assistita da una fidejussione e quindi le opere pubbliche andranno in ogni caso realizzate o direttamente dal privato o a cura dell’Amministrazione escutendo la fidejussione.
Quindi possiamo ritenere consolidata la disciplina delineata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (si veda anche la sentenza sez. VI 2 aprile 2020 n. 2224), vale a dire che, una volta che è decorso il termine stabilito per il piano attuativo, questo è vero che diventa inefficace ma solo per la parte che non ha avuto attuazione, consentendo comunque la possibilità di realizzare i nuovi edifici o modificare quelli esistenti mantenendo però gli allineamenti e tutte le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso, specie se il piano è stato puntualmente riportato nel piano regolatore (cosa che è necessaria) per cui a disciplina del piano regolatore è esattamente quella stabilita dal piano attuativo. E questo anche perché la disciplina dell’assetto del territorio deve rimanere ferma almeno fino a una nuova disciplina. È chiaro che se il privato non dovesse provvedere e l’Amministrazione dovesse assumere una nuova disciplina del PGT per quell’area, potrebbero venire meno i diritti edificatori connessi.
Da qui dobbiamo ulteriormente evidenziare che – e parliamo della terza conseguenza – vi è un ulteriore elemento che induce a confermare che è possibile dare esecuzione agli interventi privati per i lotti liberi inedificati nel caso della scadenza della convenzione.
Come ha correttamente statuito la sentenza del TAR Sardegna n. 670 del 2018 che trova altresì conferma nella sentenza n. 1871 del 2021 della sez. VI del Consiglio di Stato, nel caso in cui il piano attuativo ha avuto idonea attuazione per quanto riguarda le opere urbanizzative (strade, piazze, e altre opere di urbanizzazione) l’edificazione è necessariamente consentita, secondo un criterio di armonico inserimento del nuovo nell’edificato esistente, in base alle norme del piano attuativo scaduto (in proposito si vedano anche Consiglio di Stato sez. II n. 3909 del 2020 e n. 1091 del 2020).
Quindi questo dimostra che con la decadenza del piano attuativo è sempre comunque consentita la costruzione di nuovi fabbricati nel rispetto della normativa urbanistica dettata dal piano scaduto che resta automaticamente ultrattiva a tempo indeterminato per la parte che disciplina l’edificazione nelle sue linee fondamentali ed essenziali.
Però non va dimenticato che la presenza delle opere di urbanizzazione costituisce il presupposto per il rilascio del titolo abilitativo e rende irrilevante la necessità di un nuovo piano attuativo anche perché se l’urbanizzazione del lotto è già stata realizzata, andare a pretendere un nuovo piano attuativo in un’area già urbanizzata sarebbe un aggravio del procedimento vietato dalla legge n. 241/90 che vieta l’inutile aggravamento dei procedimenti amministrativi.
Ulteriore corollario è che la decadenza dello strumento attuativo non determina come abbiamo detto di per sé l’inedificabilità dell’area interessata e nemmeno si può applicare il regime delle così dette zone bianche (che si ha quando appunto decade lo strumento urbanistico generale) ma bisogna andare a verificare se sussiste comunque una disciplina urbanistica sufficientemente dettagliata, desumibile dallo strumento urbanistico generale, che escluda la necessità di una nuova pianificazione attuativa per l’utilizzazione di quell’area, proprio perché anche il piano attuativo scaduto diventa ultrattivo con l’obbligo appunto di osservare nelle nuove costruzioni nella modifica di quelle esistenti gli allineamenti e le prescrizioni della zona già indicate dal P.L. scaduto, soprattutto in considerazione dello stato di realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Quindi il responsabile del procedimento deve verificare le condizioni di attuazione dell’ambito sottoposto a lottizzazione scaduta, valutando sia l’entità delle esecuzioni delle opere di urbanizzazioni che l’edificabilità prevista in termini quantitativi o qualitativi, per cui anche se dovesse comunicare la decadenza del piano attuativo, è comunque tenuto ad evidenziare che continuano a mantenersi efficaci le previsioni urbanistiche di dettaglio fintanto che non intervenga una nuova disciplina urbanistica tesa a confermare la necessità di un’ulteriore pianificazione attuativa (sempre che non siano state realizzate tutte le urbanizzazioni). Pertanto, l’Amministrazione comunale non può inibire l’edificazione della parte rimanente di un piano attuativo senza avere opportunamente valutato lo stato di attuazione del piano stesso perciò, come abbiamo richiamato, nell’ottica del necessario equilibrio dei rispettivi interessi disciplinati dalla convenzione. Anche l’eventuale futura pianificazione, nel caso di un piano attuativo decaduto, non può prescindere dal rispetto delle legittime aspettative del privato che ha sottoscritto una convenzione e quindi le nuove scelte vanno sempre rapportate all’esistenza di quella specifica situazione. Infatti non si può impedire all’Amministrazione, una volta scaduto un piano attuativo, di esercitare una nuova disciplina di quell’area ma proprio per questo motivo, fintanto che non venga esercitata la nuova disciplina urbanistica, per quell’area rimangono le definizioni nei termini di cui alla convenzione precedentemente sottoscritta.
Giova però, per completezza, fare una precisazione in merito alle proroghe dei piani di lottizzazione.
Come è noto, con il D.L. n. 69 del 2013 è stato stabilito che il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell’ambito delle convenzioni di lottizzazione stipulate sino al 31 dicembre 2012 venivano prorogati di 3 anni e tale proroga riguardava i piani attuativi non ancora scaduti alla data di entrata in vigore e cioè alla data del 21 agosto 2013.
Ma oltre alla proroga stabilita per queste convenzioni col D.L. 69 n. 2013 vi è stato poi il D.L.76 del 2020 che ha stabilito a sua volta una proroga di 3 anni valevole anche per le convenzioni già prorogate. Purché si trattasse di piani attuativi formatisi alla data del 31 dicembre del 2020. In sostanza queste specifiche proroghe non potevano applicarsi ai piani già scaduti.
Ma in proposito dobbiamo richiamare anche la disciplina regionale di cui alla L.R. n. 18/2020 che all’art. 28 ha stabilito proprio che alla scadenza dei piani di lottizzazione questi vengano prorogati automaticamente di 3 anni. La norma però è stata impugnata dinnanzi alla Corte Costituzionale per cui essa è stata abrogata perché la competenza delle proroghe è riservata al legislatore nazionale. Però la Regione Lombardia aveva già introdotto un’importante norma alla L.R. n. 12/2005, vale a dire il comma 1-ter dell’art. 93 che appunto prevede che ai piani attuativi comunali che a quella data cioè nel 2017 fossero ancora in esecuzione, ovvero che fossero anche scaduti senza però la integrale esecuzione delle loro previsioni pubbliche o private, purché non ne fosse stata dichiarata formalmente la decadenza, è consentito di ottenere delle proroghe, quindi anche se scaduti ma non dichiarati formalmente decaduti dall’Amministrazione. Oltre ad ottenere delle proroghe, era altresì possibile definire degli stralci funzionali per il loro completamento, ovvero addirittura rideterminare con un’apposita variante il completamento delle opere. Quest’art. 93 è molto importante perché, come detto, riguarda anche le convenzioni scadute, dove non sono state completate le opere urbanizzative. Però sottolineo che non deve essere stata dichiarata formalmente la decadenza da parte dell’Amministrazione. Una dichiarazione formale con un atto amministrativo di decadenza, rende non più “resuscitabile” la convenzione.
Avv. Bruno Santamaria
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